Papa Francesco tra i cristiani e non solo
Tappe, incontri e parole del viaggio del Pontefice in Israele e Giordania.
Tre giornate di fuoco, tappe forzate tanto da non riuscire ad essere a Nazaret. Perché al di là della politica quello di papa Francesco è stato un viaggio per far ripartire il dialogo. Tra le tre grandi religioni del libro, con quell’abbraccio tra il Papa e i suoi due amici, uno ebreo e uno islamico, davanti al Muro Occidentale. Nel quale lascia il testo del Padre Nostro.
Quei muri, quello santo del Tempio di Salomone, quello dannato che divide le famiglie tra Gerusalemme e Betlemme.
«Quando i bambini sono accolti, amati, difesi, tutelati nei loro diritti, la famiglia è sana, la società è migliore, il mondo è più umano». Come i bambini che lo hanno accolto nel campo profughi di Dheisheh e che lamentano l’occupazione israeliana. A loro risponde con sapienza popolare il Papa: «Non lasciate mai che il passato determini la vostra vita. Guardate sempre avanti. Lavorate e lottate per ottenere le cose che volete. Però, sappiate una cosa, che la violenza non si vince con la violenza! La violenza si vince con la pace! Con la pace, con il lavoro, con la dignità di far andare avanti la patria».
Così come i bambini allo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto, cittadini di Israele, cattolici di lingua ebraica: un figlio di immigrati dalla Russia e il figlio di profughi vietnamiti. «Mai più!! Mai più!!», scrive il Papa nel libro d’onore.
È per questi bambini, come per quelli disabili che il Papa abbraccia nella chiesa in costruzione vicino al luogo dove si ricorda il Battesimo di Gesù in Giordania, che Francesco chiede insistentemente la pace. Costruire la pace è difficile ma vivere senza è un tormento, dice il Pontefice.
Un incontro di preghiera
Una pace per la quale si pregherà in Vaticano, forse già nei primi giorni di giugno, come aveva proposto il presidente israeliano nella sua visita al Papa. Un incontro, uno di quegli incontri personali e di preghiera tanto amati da Francesco. Niente diplomazia o politica, solo persone che si guardano negli occhi. Con la speranza che non sia solo un modo di prendere tempo. Qualcuno ricorda che il mandato di Peres termina a luglio e che in Israele il presidente non ha potere decisionale. E così forse anche per Abu Mazen, sempre in un difficile equilibrio tra Olp e Hamas. Ma su questo sarà solo la storia a farci capire se si è trattato di un fatto di cronaca. Ma è stato bello per molti sentire il presidente Peres riprendere la linea che è stata sempre della Santa Sede: «Una pace basata su due Stati, uno accanto all’altro: uno ebraico, Israele, e uno arabo, la Palestina».
È a Gerusalemme che il viaggio del Papa ha avuto il respiro della storia. Cinquant’anni fa, Paolo VI in Terra Santa, Paolo VI che incontra Atenagora a Gerusalemme, Pietro che torna da dove è partito. Due Papi dopo di lui sono tornati in Terra Santa: Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Ora Francesco ricorda quel viaggio di cinquant’anni fa. Quando Paolo VI ne parlò alla curia romana il 24 dicembre del 1963 disse: «Noi speriamo di incontrare il Signore nel nostro viaggio». Fu un tripudio di emozioni. Di organizzazione ce n’era ancora molto poca. Nessun rapporto diplomatico con Israele, lo Stato palestinese era solo una teoria. Eppure fu un enorme successo. Era il tempo delle grandi speranze. «Paolo VI calza i sandali e si avvolge nel mantello e si mette in cammino», scrisse François Mauriac all’epoca, ricordando Pietro che liberato dalla prigione ascolta l’angelo dire: «Mettiti il mantello e seguimi».
Fonte: http://www.tempi.it